Come pulire i pannelli di un impianto fotovoltaico domestico
Pulire i moduli fotovoltaici sul tetto di casa è un’operazione a volte semplice, anche se richiede alcuni accorgimenti. Ne abbiamo parlato con un tecnico del settore.
La tecnologia fotovoltaica ha tanti vantaggi, ma uno di quelli che lo fanno apprezzare dai milioni di persone che l’ha utilizzano per la propria abitazione è che richiede pochissima manutenzione, con l’eccezione del fisiologico cambio decennale dell’inverter.
Non si guasta quasi mai. Una bella differenza con altre tecnologie rinnovabili di piccola scala, come il minieolico, le caldaie a biomassa o le pompe di calore, che avendo componenti meccanici in movimento o anche una produzione di scorie e sostanze incrostanti, possono richiedere anche un significativo lavoro di manutenzione.
Il fotovoltaico sembra invece una tecnologia “installa e dimentica”, e come tale, in effetti, molti la trattano.
Ma non è proprio così. Un tallone d’Achille ce l’ha anche il FV, ed è quello di avere grandi superfici vetrate esposte all’ambiente esterno che devono sempre restare completamente trasparenti, e tutti sappiamo quanto sia difficile, ad esempio, tenere le finestre pulite.
Secondo vari studi la perdita di produzione dei pannelli FV nel mondo a causa dello sporco che vi si accumula durante l’anno, varia fra il 2 e il 25% con una media del 4%.
La notevole variabilità dipende ovviamente da dove sono installati i pannelli; in aree desertiche, con tanta polvere e poca pioggia, la situazione è molto peggiore che in aree con aria limpida e piogge frequenti.
“In Italia la situazione è meno problematica: da noi la pioggia, almeno in tempi climatici normali, non manca”, ci spiega Massimo Venturelli, che in Emilia si occupa di impianti solari ormai da quasi tre decenni e ha perciò accumulato una grande esperienza sia sul tipo di problemi a cui questi impianti vanno incontro, che sulle soluzioni per risolverli.
“Ci sono però alcune situazioni che possono peggiorare l’accumulo di sporco, ci ha detto. “Per esempio, vicino a strade sterrate trafficate, cave, frantoi di rocce o altri impianti che emettono molta polvere; oppure avere i pannelli con un’inclinazione minore di 10 gradi su un tetto piano, con l’acqua che può ristagnare in una pozza, porta a formare un deposito opaco e difficile da rimuovere”.
Ma ci sono i casi in cui le precipitazioni da sud coprono tutto con la sabbia del Sahara, e non si prevedono piogge meno torbide a breve. “Qui – dice Venturelli – occorre prestare più attenzione del normale alle prestazioni e allo stato del proprio impianto e, se è il caso, intervenire”.
Non che in assenza di quelle sfortunate situazioni sia opportuno dimenticarsi del proprio impianto fotovoltaico sul tetto.
“È sempre bene fare periodiche ispezioni visive dei pannelli, anche con un piccolo drone, se non si vedono bene dal basso, perché non c’è solo la polvere a ridurre la trasparenza: si possono accumulare foglie o anche deiezioni di uccelli. E non importa che la zona coperta sia piccola. I pannelli FV sono collegati in serie a formare stringhe, per cui, a meno che non siano dotati di ottimizzatori, un calo di produzione in una o poche celle, porta a cascata a una diminuzione di produzione in tutto il pannello e poi in tutta la stringa”.
Una situazione del genere non dovrebbe sfuggire all’attenzione, perché provoca un improvviso declino nella generazione dell’impianto, a parità di condizioni meteo.
“Sarebbe bene evitare di arrivare a tanto, prevenendo il problema. Nel caso delle foglie potando eventuali alberi vicini all’impianto e prestando attenzione soprattutto in autunno, mentre nel caso degli uccelli, serve allontanare eventuali antenne o altri oggetti che gli facciano da trespolo sopra i moduli, ma anche rendere impossibile il loro accesso al di sotto, perché potrebbe diventare il loro nido ed è poi probabile che usino la parte superiore come toilette”.
Pulire i pannelli facilmente accessibili è qualcosa alla portata di tutti. Il problema sorge però quando sono installati su tetti di difficile accesso. In questi casi la scelta più sicura è rivolgersi a personale specializzato.
“Visto che la pulizia avrebbe un costo non piccolo, bisogna vedere se la maggiore produzione andrà a compensare la spesa. E poi attenti: molti ‘operatori specializzati’ non lo sono affatto e possono fare danni. In base alla mia esperienza, nel caso degli impianti domestici in genere, l’utente fa da sé, e in quel caso gli consiglio vivamente di prendere ogni precauzione per non farsi male”.
Gli attrezzi possono essere quelli usati per la pulizia in casa, magari con lunghe prolunghe al manico, oppure spazzoloni dedicati, con un rullo ruotante che stacca la patina ed eventuali escrementi di uccelli.
Un consiglio dell’esperto è di non usare mai acqua di rubinetto se contiene calcare.
“E se lavate i pannelli sotto il sole – spiega – quell’acqua finirà per aggiungere una patina ben più difficile da rimuovere della polvere. Meglio impiegare acqua addolcita, senza calcare, non quella usata per ferri da stiro che è troppo acida. Oppure si può fare una scorta di acqua piovana. Meglio evitare i detersivi, che lasciano depositi e possono anche essere corrosivi, acqua e olio di gomito sono sufficienti”.
Importante è stare attenti a non peggiorare le cose danneggiando i pannelli durante la pulizia.
“Regola ferrea numero uno: non colpiteli con gli attrezzi e non camminateci sopra, al limite appoggiatevi solamente ai punti di aggancio dei pannelli. Sono oggetti che contengono un sottile strato di silicio cristallino molto rigido, che non regge la flessione”.
“Mi sono capitati casi di clienti – ci racconta Venturelli – che dopo la pulizia si sono lamentati di un calo di rendimento dell’impianto. Sono andato a controllare con la termocamera, scoprendo degli hotspot, zone di riscaldamento anomalo, causati da microfratture invisibili a occhio nudo, che, aumentando la resistenza al passaggio degli elettroni, provocano poi danni ulteriori o addirittura incendi. La causa? I pulitori avevano appoggiato il piede in mezzo ai pannelli, che, a quel punto, potevano solo essere sostituiti”.
Gli chiediamo se per evitare tutto questo non esistono prodotti idrorepellenti da passare sul pannello, così che respinga lo sporco, oppure piccoli robot che, come quelli che si usano in casa, ripuliscano la superficie.
“Cere idrorepellenti per pannelli solari esistono, ma secondo la mia esperienza, una volta esposte a sole, gelo, sbalzi di temperatura, hanno vita molto breve, per cui servono abbastanza poco. Quanto ai robot pulitori esistono già per i grandi impianti, ma, almeno finora, non per i piccoli: potrebbero però essere un prodotto interessante da progettare, con un mercato che è sempre più in crescita”.
Insomma, in attesa di questi robottini, un utente medio quanto si deve preoccupare dello sporco dei pannelli?
“In assenza delle condizioni negative di cui dicevamo, e ripetendo che è sempre bene controllare periodicamente la produzione e l’aspetto dell’impianto, direi che non ci si debba poi preoccupare troppo dello sporco normale: in genere gli strati di polvere che si accumulano nell’arco di settimane non bloccano poi tanta luce e fanno perdere solo pochi punti percentuali di produzione”.
“Se le condizioni di accesso ai moduli sono facili – consiglia Massimo Venturelli – ci si può limitare a uno-due lavaggi l’anno nel cuore della stagione più secca, soprattutto se non ci sono piogge prevedibili nelle settimane successive”.
E chiudiamo con qualcosa di divertente. “Non fate come quel mio cliente – ci racconta Venturelli – che andava quasi tutti i giorni sul tetto a pulire i pannelli e, nonostante ciò, si accorse che la produzione era calata. Gli chiesi a che ora ci andasse e quanto ci restasse, e mi rispose che saliva sul tetto intorno a mezzogiorno, restandoci circa un’ora. E allora gli feci notare che per un’ora, quasi tutti i giorni, lui e il suo spazzolone facevano ombra ai pannelli, proprio quando il sole era più alto. Per forza la produzione era calata…”. Tratto da www.qualenergia.it/