Il futuro delle imprese delle rinnovabili: aggregazione e ampliamento dell’offerta

Energheia_rapportoOIR2013_copertina-210x300Autore: Nicolò Rossetto, dottorando in Economia, diritto e istituzioni presso lo IUSS di Pavia

da www.energheiamagazine.eu .

In questi ultimi anni di relativo declino dell’economia italiana il comparto delle rinnovabili elettriche è stato uno dei pochi che abbia mostrato incredibili segni di vitalità e sia stato in grado di trasformare profondamente la struttura e il funzionamento del mercato elettrico nel nostro Paese. Questo sviluppo intenso, che ha portato la produzione di elettricità da fonti rinnovabili a circa 100 TWh annui, è però avvenuto a un costo non indifferente ed ha sollevato non poche criticità in un settore che già stava cambiando per via del processo di liberalizzazione iniziato alla fine degli anni ’90. L’insostenibilità economica della tumultuosa espansione delle rinnovabili si è inevitabilmente manifestata nel corso del 2011-12 e ha portato a una revisione delle politiche pubbliche di supporto, infliggendo, assieme alla più generale crisi economica, un pesante colpo al dinamismo del comparto, che oggi ha la necessità di guardare al futuro in modo nuovo.

Questo, a grandi linee, è il contesto in cui pochi giorni fa si è sviluppato un’interessante dibattito che ha coinvolto accademici, imprenditori e rappresentanti delle istituzioni. L’occasione è stata data dalla presentazione del V Rapporto Annuale dell’Osservatorio Internazionale sull’Industria e la Finanza delle Rinnovabili (OIR), organizzato a Milano dall’Università Bocconi. In tale sede è emerso come l’Italia sia diventata in poco tempo un leader mondiale delle rinnovabili, sia per gli investimenti e la capacità cumulata, pari rispettivamente a circa 70 mld di euro e a circa 30 GW di potenza, che per la filiera industriale che si è formata e che annovera numerose imprese, tra di loro estremamente eterogenee.

Secondo il prof. Andrea Gilardoni il comparto gode tutto sommato di buona salute grazie alla continua crescita del fatturato, consentendo così alle imprese di sostenere il costo del forte indebitamento avvenuto nel passato, indebitamente che peraltro è stato quasi sempre finalizzato ad investimenti in nuovi impianti e capacità produttiva. Tuttavia,se rispetto ad altri rami del nostro complesso industriale le rinnovabili se la cavano piuttosto bene, questo non significa che esse non debbano oggi fronteggiare importanti sfide. La scelta del legislatore di contenere il costo delle politiche di sostegno alle rinnovabili e l’eccesso strutturale di capacità di generazione nel settore elettrico limitano la possibilità per le imprese del comparto di portare avanti il proprio business, seguendo gli stessi schemi adottati nel recente passato. Per Gilardoni le imprese attive nel campo delle rinnovabili dovrebbero quindi perseguire una strategia basata su almeno tre punti:
a) contenimento dei costi ed efficientamento del processo produttivo;
b) ampliamento dei “prodotti” offerti, passando dalla mera produzione di kWh a quella di servizi energetici integrati, anche sfruttando il concetto di smart grid;
c) diversificazione del mercato finale tramite l’internazionalizzazione delle proprie attività.
Per fare tutto ciò e, in particolare, per essere in grado di aggredire efficacemente i mercati esteri è essenziale la crescita dimensionale delle imprese, che sono al momento relativamente piccole. Grazie al consolidamento, le imprese del settore potrebbero, infatti, sfruttare notevoli economie di scala, riducendo i propri costi medi e raggiungendo quella massa critica necessaria per ottenere credito a condizioni migliori e per avventurarsi in progetti ambiziosi nei paesi emergenti (Gilardoni si è spinto ad auspicare la nascita di un secondo “campione nazionale”, oltre a Enel Green Power, partendo dall’aggregazione delle principali medie imprese italiane).

Questa prospettiva è stata condivisa dai numerosi operatori del settore presenti in sala. Sia Paolo Grossi di RWE che Stefano Neri di Terni Energia hanno detto che nell’immediato futuro non ci saranno significativi investimenti in nuovi impianti in Italia: se li si vuole realizzare non si potrà fare altro che andare all’estero. Questa, ha sottolineato Francesco Starace, è d’altra parte la strategia che Enel Green Power ha adottato sin dal 2011: andare in quei paesi dove la domanda di elettricità è in crescita e dove la disponibilità di fonti rinnovabili è tale da rendere convenienti certi progetti anche in assenza o quasi di politiche di supporto pubblico. Per fare questo, però, è necessario avere disponibilità propria di capitale o avere un partner finanziario forte. Altrettanto necessario è il sostegno del Sistema Italia, sostegno che è stato garantito da Riccardo Monti, presidente dell’ICE, il quale ha evidenziato che già oggi l’Italia esporta molto nell’ambito della green economy. Monti ha poi invitato le imprese italiane a cercare nuove opportunità in Africa, Medio oriente, Asia orientale, ex-Unione sovietica e nei paesi dell’Alleanza per il Pacifico (Cile, Messico, Perù e Colombia), non limitandosi quindi ai più classici paesi dell’Europa orientale, dell’America settentrionale e del Brasile.

Sul fronte domestico, invece, le principali prospettive sono legate alle operazioni sul mercato secondario, che permetterebbero la concentrazione delle migliaia di impianti sorti in questi ultimi anni in un numero minore di mani, probabilmente in grado di gestirli in modo più efficiente. Per fare questo servono però capitali, sia di rischio che di credito, i quali hanno bisogno della sicurezza e delle certezze che solo un quadro normativo stabile e condiviso può garantire. Umberto Tamburrino di Antin Solar Investments è stato cristallino: i fondi pensione, le assicurazioni e in generale i fondi d’investimento stranieri sono attratti dai ritorni modesti ma sicuri che i meccanismi d’incentivo italiani offrono. Bisogna però evitare di fare come la Spagna, la quale, agendo retroattivamente su tali meccanismi, ha distrutto la fiducia degli investitori, che difficilmente vi faranno ritorno nel prossimo futuro. Questo punto è stato condiviso da Pietro Colucci di Kinexia: gli interventi normativi retroattivi, soprattutto se di natura fiscale, vanno assolutamente evitati.

Per ridurre l’onere in bolletta è più interessante la proposta del ministro Zanonato, che vorrebbe finanziare parte dei sussidi mediante obbligazioni statali, il cui costo ricadrebbe sulla fiscalità generale. Al di là del peso che i sussidi impongono sulla collettività bisogna tuttavia trovare il modo di far convivere le rinnovabili elettriche con le più convenzionali fonti fossili, che oggi soffrono notevolmente a causa degli alti costi della materia prima, della scarsa domanda e del favore che la priorità di dispacciamento e le tariffe feed-in garantiscono alle rinnovabili. Al di là dello sterile dibattito sull’identità del colpevole dell’attuale situazione di estrema overcapacity del parco centrali italiano, va trovato un modus vivendi che permetta di accomodare entrambe le tecnologie.

Per Chicco Testa di Assoelettrica, per Givanni Battista Zorzoli del Comitato FREE e per Francisco Rodriguez di E.on la soluzione passa anche attraverso una riforma dell’attuale mercato elettrico. In particolare, bisogna integrare maggiormente il mercato dei servizi ancillari a quello del giorno prima e bisogna promuovere la nascita di un idoneo mercato della capacità, dove i produttori flessibili possano essere remunerati per il loro contributo alla sicurezza del sistema. Questi punti sono stati confermati dal Presidente dell’AEEG, Guido Bortoni, il quale è intervenuto ribadendo la volontà dell’Autorità di accrescere gradualmente la responsabilità delle fonti rinnovabili in termini di sbilanciamenti e programmabilità, e di procedere con l’obiettivo di creare un mercato della capacità entro il 2017, andando così a supplire ai difetti manifestati da un mercato dell’energia attualmente basato sul meccanismo dei prezzi marginali. All’interno delle tavole rotonde sono emerse anche altre misure che andrebbero prese: l’integrazione con la rete europea per promuovere le esportazioni, la riforma dell’ETS o l’introduzione di una carbon tax tale da attribuire un prezzo serio alla CO2, la revisione della struttura tariffaria e altre misure per promuovere i consumi elettrici sia a livello domestico che nei trasporti (auto elettrica), la promozione dell’innovazione tecnologica per mezzo di una coerente politica industriale che punti non poco ai nuovi sistemi di accumulo. Tali misure, questo è l’auspicio con cui si è concluso il convegno, dovrebbero permettere al settore elettrico italiano di superare l’attuale momento di debolezza e consentire la pacifica coesistenza delle fonti energetiche vecchie e nuove. A patto, come ha sottolineato il prof. Michele Polo, che non si ripetano gli errori del passato e si pianifichi bene e in modo coerente per il lungo periodo.

Autore: Nicolò Rossetto, dottorando in Economia, diritto e istituzioni presso lo IUSS di Pavia

Si autorizza la riproduzione a fini non commerciali, con citazione obbligatoria della fonte e inserimento link a www.energheiamagazine.eu .