Grazie a un modello matematico, uno studio reinterpreta la storia umana: le civiltà sono crollate sempre per lo sfruttamento troppo intenso delle risorse associato ad eccessiva stratificazione sociale. Per evitare il collasso bisogna ridurre le disparità economiche, bloccare il consumo di risorse non rinnovabili e rallentare la crescita demografica.
Qualenergia.it il 1 aprile 2014
Nel 1972 ricercatori del MIT coordinati da Donella e Dennis Meadows, usarono per la prima volta un computer per anticipare il futuro dell’umanità, tramite un modello matematico, chiamato World3, che simulava le dinamiche e le interazioni fra popolazione, produzione industriale e agricola, inquinamento e sfruttamento delle risorse naturali. I risultati, sintetizzati nel libro “The limits of growth” (tradotto erroneamente in italiano con il titolo “I limiti dello sviluppo” da Mondadori), furono sconvolgenti: se l’umanità avesse continuato a sfruttare le risorse naturali ai ritmi di allora e a riempire il mondo di inquinanti, sarebbe prima o poi andata incontro a un collasso della produzione di cibo e beni industriali e poi della popolazione, intorno ai primi decenni del XXI secolo. L’idea che l’economia potesse crescere all’infinito, veniva per la prima volta messa in dubbio da un gruppo di scienziati, non da mistici apocalittici o politici di idee egualitarie e pauperiste. Il che scatenò reazioni non proprio benevole verso i Meadows e l’attendibilità del loro lavoro.
Oggi, mentre il mondo cerca di uscire da una profonda crisi economica (che peraltro alcuni vedono proprio come un primo sintomo del collasso annunciato da World3), ripetendo come una litania “Crescita, crescita, crescita” arriva un nuovo modello matematico dell’interazione fra umanità e pianeta Terra, chiamato HANDY (‘Human And Nature Dynamical’ model), che avverte come una crescita senza limiti non sia la ricetta migliore per salvarci, ma anzi una strada per aggravare le cose.
Padre di HANDY è l’ingegnere e matematico Safa Motesharrei dell’Università del Maryland, che, con altri due colleghi, ha descritto i risultati del nuovo modello matematico globale sulla rivista Ecological Economics. Lo studio, allegato in basso, non è stato finanziato dalla NASA come erroneamente riportato dal Guardian; l’agenzia Usa ha infatti solo contribuito allo sviluppo del modello HANDY. Motesharrei è partito dal fatto che il collasso di civiltà, nel corso della storia dell’umanità non è un’eccezione ma la regola, con decine di civilizzazioni apparentemente solidissime, che decadono e scompaiono in tempi storicamente brevi, talvolta senza quasi lasciare tracce culturali, come, per esempio le civiltà Maya o Khmer, riscoperte solo nel XIX secolo (come scrive anche Jared Diamond nel bel volume “Collasso”, ndr).
Anche se questi collassi, in apparenza, sembrano avere mille cause diverse, da catastrofi naturali a invasioni esterne, lo studioso individua due costanti: l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, che porta al collasso gli ecosistemi da cui ci si approvvigiona (un tempo limitati dai trasporti, oggi globali), e l’eccessiva stratificazione delle società, con la creazione di élite avide, che incrementano i consumi, affamano la popolazione comune (commoner) e, staccandosi da questa, non percepiscono i segni di un imminente collasso, evitando di prendere i provvedimenti per evitarlo; in questo caso anche perché i commener minerebbero il loro potere: oggi la diseguaglianza è tale che gli 85 uomini più ricchi del mondo hanno un patrimonio pari a quello dei 3,5 miliardi di persone più povere del pianeta.
Come base per HANDY, Motesharrei ha usato modelli matematici del tipo “predatore-preda”, che simulano l’andamento, per esempio, di come una popolazione di leoni cresca e declini ciclicamente in parallelo a quella di una di gazzelle. Solo che in questo caso i predatori siamo noi e le prede sono le risorse, alcune non rinnovabili, del pianeta.
Usando vari scenari definiti da valori di variabili che, per esempio, indicavano utilizzo di risorse più o meno efficiente, crescita della popolazione più o meno rapida, o creazione di élite più o meno estese, Motesharrei è arrivato alla conclusione che un collasso della società moderna, se continuiamo con il mantra della crescita e l’aumento di disuguaglianze, è, prima o poi, praticamente inevitabile, e i nostri sforzi per evitarlo possono talvolta avere l’effetto di accelerarlo e aggravarlo.
Per esempio, potremmo sperare che il progresso tecnologico ci permetta di usare risorse in modo sempre più efficiente e allontanare il collasso. Ma nella società attuale, fa notare Motesharrei, questo produce un abbassamento del costo dei beni e un loro consumo (e spreco) sempre più esteso, portando alla fine, complessivamente, a un prelievo ancora maggiore delle risorse. Per esempio, un tempo i telefoni cellulari usavano molto più materiale ed energia di oggi. Quelli attuali sono singolarmente molto più “sostenibili”, ma vengono venduti in milioni di esemplari, invece che in migliaia, e quindi, alla fine, il loro impatto sulle risorse non rinnovabili è molto maggiore. Stesso discorso si può fare per il cibo, o le auto o qualsiasi altro bene di consumo.
Le simulazioni compiute con HANDY sono divise in tre categorie: con società egualitaria (niente élite, tutti lavorano), equanime (élite non produttiva, ma con consumi uguali agli altri), diseguale (con élite non produttive, che consumano molto di più degli altri). In tutti e tre i casi è possibile arrivare a uno stato stazionario, ma solo dopo un “impoverimento generale”, causato dal consumo di risorse non rinnovabili nel periodo precedente all’equilibrio. E per conseguirlo si devono sempre bloccare crescita demografica ed economica, in modo che il loro peso non superi il carico massimo sopportabile dal mondo naturale, vero limite invalicabile all’espansione della nostra specie.
Se la società è diseguale, inoltre, l’equilibrio è possibile solo se l’élite autolimita il proprio reddito: se questo va oltre le 10 volte quella dei commoner, il collasso è inevitabile. Se queste condizioni mancano, la creazione crescente di ricchezza e di popolazione porta sempre a superare il limite massimo di carico naturale, mentre la disuguaglianza concentra risorse sempre più scarse in una frazione sempre più ridotta della popolazione, portando a uno o più collassi ripetuti prima nella popolazione dei commoner, poi delle élite. Certe volte da questi collassi ci si riprende, ma in una situazione ancora più impoverita dal degrado naturale, é solo per subire un altro collasso di lì a pochi decenni. In altri scenari più estremi di consumi e disuguaglianze (e purtroppo più simili alla realtà attuale), si arriva a collassi irreversibili, con l’annientamento della popolazione umana.
Ci aspetta quindi una inevitabile Apocalisse? No, la ricetta di Motesharrei per evitare questi scenari è abbastanza ovvia, ma non certo facile da attuare: ridurre le disparità economiche (sia all’interno che fra le nazioni), bloccare il consumo di risorse non rinnovabili, sostituendole con risorse rinnovabili estratte a un livello sostenibile e fare di tutto per rallentare la crescita demografica.
Ma, riconosce il ricercatore “Anche se alcuni membri della società riconoscono che il sistema si sta muovendo verso il collasso e chiedono riforme strutturali per evitarlo, le élite e i loro supporter, che si oppongono a questi cambiamenti, fanno notare come finora il sistema si sia rivelato sostenibile e tutto vada quindi per il meglio, bloccando così ogni cambiamento”.
Perché, in fondo, è proprio lo status quo a garantire loro potere e privilegi. Forse dovremmo riconsiderare in quest’ottica le dichiarazioni di tanti manager e politici contro le rinnovabili, l’opposizione al liberalismo economico sfrenato e l’allarme sul cambiamento climatico.